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Allevamento

Allevamento

Agli inizi del Novecento si allevavano mucche, cavalli, buoi, asini, maiali: questi ultimi rappresentavano una cospicua fonte di ricchezza alimentare ed economica per il contadino, tanto che il giorno della loro uccisione era considerato una festa, nonostante il rituale cruento. Non pochi ragazzi avevano l’abitudine di marinare la scuola: il loro aiuto in casa era importante per raccogliere il sangue degli animali uccisi, da cucinare poi con verze e cipolle o per preparare lardo, salame, mortadella… da vendere o da conservare per i lunghi mesi invernali.
Sull’aia, nei pollai o liberamente per i prati si potevano vedere: chiocce con i pulcini, galline, anatre, oche, tacchini, conigli. I galli, opportunamente trattati con la tecnica del “capuna” (amputazione della cresta ed asportazione dei genitali) ed abbondantemente ingrassati, rallegravano come capponi la tavola di Natale: i più belli però sono destinati ai “sciuri” del paese (nobili o ricchi proprietari), di cui i contadini lavoravano la terra.
La carne veniva cucinata soltanto in occasione delle feste e, almeno fino al secondo dopoguerra; dell’animale tutto veniva utilizzato, dalla polpa alle interiora. Provengono infatti dalla cucina contadina i piatti della tradizione brianzola: la trippa, la “cazoela“, i “nervitt“.
Con lo sviluppo delle tessiture, si è diffusa in paese la bachicoltura, che è stata incentivata nel periodo fascista, nell’ambito della autarchia.