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Cascine

Cascine

Sul territorio carughese sono presenti le seguenti cascine: Cascina Sant’Ambrogio, Cascina Guardia, Cascina Incasate, Cascina Gattedo.


La cascina S. Ambrogio è inserita nel territorio del Parco sovraccomunale della Brughiera Briantea.
Le notizie storiche sulla cascina risalgono al diciottesimo secolo, quando risultava essere di proprietà  di Diego Martinez, discendente di una nobile famiglia di origine spagnola, che nel sedicesimo secolo si stabili a Milano e che possedeva molte proprietà nel territorio carughese. Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento ai Martinez subentrarono altri proprietari: dai Benvenuti ai Decio, per passare poi ai Negroni e successivamente ai Teruzzi, che nel 1923 decisero di vendere agli affittuari terreni e case.
La cascina S.Ambrogio era dotata di un fabbricato per l’abitazione dei coloni, di un pozzo per l’acqua potabile, di uno stagno per l’approvvigionamento idrico degli animali, di un forno per la cottura del pane e di un ulteriore fabbricato per il ricovero degli animali e del foraggio (stalle e fienili). Vi erano anche piccoli manufatti, che servivano per la vita quotidiana, come porcili, conigliere, pollai, letamaie.
La cascina custodisce, in una cappella di recente costruzione, un’opera d’arte unica nel suo genere: un altorilievo in legno di rovere raffigurante Sant’Ambrogio ad altezza naturale, datato e firmato da Vitale Regola, che lo scolpì, e da G. Nardini, che lo dipinse nel 1892 su commissione di Giovanni Teruzzi, l’ultimo proprietario della cascina.

La cascina Guardia si trova al limite della strada, che costeggia Incasate e permette di raggiungere Arosio in località Pilastrello. Appartiene come territorio al Comune di Carugo, ma dipende come parrocchia dalla chiesa dei SS. Nazaro e Celso di Arosio.
La denominazione è significativa per capire la sua storia. Originariamente infatti doveva essere un castrum, un luogo fortificato, dotato di mura di difesa e di una torre di guardia, in grado di avvistare pericoli imminenti e controllare dall’alto persone e convogli, in transito nella pianura sottostante. La sua esistenza è attestata ancora nel 1862 col nome di Guarda, come conferma il primo censimento del Regno d’Italia, che precisa la proprietà (sigg. Piazzi) ed i gruppi famigliari, che vi abitavano: Galli, Nespoli, Colombo.
Il suo nome però è legato alla devozione mariana di Nostra Signora della Guardia, come attesta il dipinto, all’interno della cascina, restaurato recentemente, che ritrae l’apparizione della Vergine al pastore Benedetto Pareto, sul monte Figogna, nei dintorni di Genova, avvenuta nel 1490, mentre era intento nel suo lavoro.  E’ lecito quindi supporre che qualche abitante, proveniente dai dintorni di Genova o particolarmente devoto a Nostra Signora della Guardia, abbia voluto porre sotto il suo auspicio la località omonima mediante l’affresco sotto il portico.

Incasate” nei documenti a volte compare come “In Casate“. Notoriamente i nomi, che iniziano in “cas” (che significa “casa forte“) sono di origine celtica, quindi antichissima. Il nome della frazione fa quindi supporre che i primi abitanti di Carugo si siano insediati proprio su questa collina morenica, al confine con Arosio.
Incasate viene citato per la prima volta in un documento del XIV secolo ( Statuti delle strade ed acque del Contado di Milano fatti nel 1346) come ” el locho o castel da Incasa“. Ancora nel censimento del 1862 esso viene denominato “Incasate Castello“.
L’insediamento risulta, fra le cascine carughesi del ‘700, il più numeroso (101 abitanti).  Gli antichi corpi di fabbrica delimitano il cortile, dove, fino al secolo scorso, si svolgevano le attività dei contadini che l’abitavano: coltivazione dei campi circostanti, raccolta della legna e manutenzione dei boschi vicini, allevamento di suini, bovini e bachi da seta. Il servizio igienico era in un angolo del cortile.

La sua esistenza è certa già nel X secolo, quando figura con il nome di Gattedum e Gatterium. Si trattava di un  Castrum , cioè di un luogo fortificato, con un castello e una cerchia di mura, che disponeva di una chiesa propria (San Martino), dipendente dalla giurisdizione amministrativa di Mariano.
Diversi documenti testimoniano i suoi rapporti con un movimento eretico caratterizzato dalla netta distinzione fra spirito e materia, dal pauperismo portato all’eccesso e dall’opposizione esasperata contro la società civile e religiosa, tanto che i primi ad intervenire furono proprio esponenti dell’autorità politica, come l’imperatore Federico II.
Proprietaria del castello era la famiglia De Gluxiano, abitante a Milano, ma originaria di Giussano. Due suoi esponenti di spicco, Roberto detto “Patta” e suo fratello Enrico, detto “il rosso“, avevano aderito all’eresia  e quindi il castello era diventato un rifugio sicuro per gli affiliati, ma anche un centro di venerazione per la presenza delle spoglie mortali di due vescovi, Nazario e Desiderio, morti in odore di eresia e sepolti nella fortezza.
Il destino del castello si incrocia con quello di S. Pietro martire, inquisitore domenicano di Milano, perché nel castrum di Gattedo pare sia stata preparata una congiura contro di lui. Secondo alcune fonti, il santo si limitò soltanto a profetizzare che il  castello, covo di eretici, sarebbe stato dato alle fiamme con i corpi dei due vescovi tumulati. La profezia si avverò nel 1254 con decreto del papa Innocenzo IV, applicato nel 1258, a seguito dell’uccisione di frate Pietro il 6 aprile 1252.
Intorno al castello di Gattedo aleggia una sorta di leggenda, che vuole il castrum dotato di cunicoli con i sotterranei, che portavano in pianura, e di vicoli ciechi, che fungevano da trappole per i nemici: uno dei cunicoli arrivava dentro la proprietà dei conti Carugo, proprietari di un fortilizio analogo a quello di Gattedo, come struttura e come covo di violenze e di delitti. E’ vero che nel cascinale di San Martino, storicamente dipendente da Gattedo,  è ancora visibile  un piccolo pozzo botola, ricoperto di terra, che sbuca nel vano sotterraneo, ma per ora si possono formulare solo ipotesi, sia per mancanze di testimonianze archeologiche, sia per la radicale trasformazione del sito, in cui le esigenze abitative sono prevalse su quelle del recupero della memoria storica.